Ripensare e rivoluzionare l’ecosistema del lavoro italiano è sempre stata una sfida aperta, mai vinta nettamente fino ad oggi da nessun Governo Italiano. Ne abbiamo sempre discusso, tanto da poter attraversare decenni, del problema dell’adattamento delle condizioni di lavoro al cambiamento dei tempi, delle mutevoli esigenze produttive ed economiche del nostro Paese.
Concretamente però il tema non è mai stato affrontato in una modalità tale da adattarsi alla complessità del cambiamento tecnologico, in considerazione anche della composizione anagrafica dell’Italia, e con un approccio di visione di lungo periodo.
Sembra utopistico parlare di lavoro e dei problemi ad esso collegati in una proiezione così futura e quindi lontana dall’immediatezza delle esigenze contingenti, tipiche del di questo tema. Eppure ci scontriamo con una chiara immagine del futuro della civiltà del lavoro che dovrà sin da oggi essere preparata alla trasformazione tecnologica e antropologica già in atto.
Il lavoro del futuro, un futuro prossimo, dovrà essere dinamico, flessibile, creativo, ingegnoso e capace di essere motore di cambiamento continuo, piuttosto che oggetto passivo dello stesso. Tuttavia, sappiamo che i cambi epocali sono fatti di resistenze dettate dalle preoccupazioni, e anche in questo caso l’intera società è pronta ad opporre la sua naturale resilienza alle trasformazioni tecnologiche che influenzeranno il mondo del lavoro. Quali azioni possiamo intraprendere per poter bilanciare questi due aspetti? Qual è il limite umano sostenibile per mantenere costante questo bilanciamento? E ancora: in un mercato del lavoro iper-connesso e interconnesso, la dimensione tra locale e globale assume un significato completamente nuovo. Come possiamo ridurre le disuguaglianze sociali e favorire lo scambio internazionale?